All’alba, quando la nebbia marina ancora avvolge le baie della penisola di Shima, nella prefettura di Mie, un fischio acuto rompe il silenzio delle acque. È l’isobue, il “fischio del mare” delle Ama, le ultime guardiane di una tradizione che affonda le radici in oltre duemila anni di storia. Questi suoni ancestrali, prodotti da un’espirazione lunga e controllata con il labbro superiore piegato su quello inferiore, non sono semplici espirazioni: sono i respiri di donne che hanno fatto del mare la loro dimora, della profondità la loro professione, dell’apnea la loro arte.
In un mondo dove la modernità ha travolto gran parte delle tradizioni millenarie, le Ama di Shima rappresentano un’anomalia affascinante. Sono circa 514 donne che ancora oggi si immergono nelle acque cristalline della penisola Ise-Shima, perpetuando una pratica che le loro antenate hanno tramandato attraverso generazioni di madri e figlie. Senza bombole d’ossigeno, senza sofisticate attrezzature subacquee, armature solo di maschera, pinne e di una determinazione forgiata dalle onde.
L’arte ancestrale dell’immersione
La tecnica delle Ama è un miracolo di resistenza umana e conoscenza empirica. Queste donne si immergono fino a 25 metri di profondità, trattenendo il respiro per periodi che possono raggiungere i due minuti, in una danza sottomarina che combina precisione chirurgica e intuito primordiale. La loro tecnica di respirazione, l’isobue, è utilizzata per rilassarsi durante gli intervalli di superficie, che durano tipicamente meno di 60 secondi.
Il loro abbigliamento tradizionale racconta una storia di adattamento e rispetto: il kimono bianco di cotone che un tempo indossavano sott’acqua non era solo una questione di modestia, ma un simbolo di purezza e connessione spirituale con l’elemento marino. Oggi, le moderne mute termiche hanno sostituito il tessuto tradizionale, ma l’essenza rimane immutata: ogni immersione è un atto di fede verso le profondità che custodiscono i tesori del mare.
Le Ama si immergono consecutivamente per circa 1,5 ore ogni mattina, raccogliendo molluschi stagionali in un rituale che si ripete da secoli. Non è semplice raccolta: è una conversazione silenziosa con l’ecosistema marino, dove ogni gesto deve essere calibrato per non disturbare l’equilibrio naturale che ha permesso a questa tradizione di sopravvivere attraverso i millenni.
Il territorio delle ultime sirene
La penisola di Shima, nella prefettura di Mie, non è solo un luogo geografico: è il santuario naturale delle Ama. Qui, tra le baie protette del Parco Nazionale Ise-Shima, le acque mantengono ancora quella purezza cristallina che permette alle subacquee di lavorare con la precisione di chirurgi sottomarini. Le coste frastagliate offrono riparo e zone di immersione ideali, mentre le ama-goya, le tradizionali capanne di legno dove le donne si riscaldano tra un’immersione e l’altra, punteggiano il litorale come sentinelle di una cultura che resiste al tempo.
In questi rifugi spartani, dove il fuoco centrale crepita continuamente, le Ama condividono non solo il calore ma anche le conoscenze: quali sono i periodi migliori per la raccolta, dove trovare i migliori abalone, come leggere le correnti e predire i cambiamenti del tempo. È qui che si perpetua la trasmissione orale di saperi che nessuna università può insegnare, conoscenze che si acquisiscono solo attraverso decenni di immersioni e osservazione attenta dei ritmi del mare.
La città di Toba, insieme a Shima, rappresenta il cuore pulsante di questa tradizione. La prefettura di Mie ospita circa 800 Ama nel 2020, il numero più alto in tutto il Giappone, concentrando in quest’area più della metà delle praticanti ancora attive nell’arcipelago nipponico.
I tesori dell’abisso
Il mestiere delle Ama non è mai stato limitato alla sola raccolta di cibo. Per secoli, queste donne sono state le fornitrici delle ostriche perlifere Akoya, quelle stesse conchiglie che hanno reso famoso l’imprenditore Mikimoto Kōkichi, il pioniere della perlicoltura moderna. Prima che le tecniche di coltivazione artificiale rivoluzionassero l’industria delle ostriche, erano le mani esperte delle Ama a recuperare dalle profondità marine quei gioielli naturali che ornavano le corti imperiali.
Ma il loro raccolto è molto più vario e prezioso: abalone dalle carni pregiate, turban shells dalle conchiglie iridescenti, e soprattutto le alghe wakame e kombu, ingredienti fondamentali della cucina tradizionale giapponese e ricche di minerali essenziali. Ogni prodotto richiede una tecnica specifica di raccolta, una conoscenza profonda dei cicli stagionali e una capacità di riconoscere la maturità giusta per il prelievo sostenibile.
Le ama-goya diventano così piccoli teatri culinari, dove i frutti dell’immersione vengono preparati e condivisi con i visitatori. Il sapore del mare appena pescato, cotto sul fuoco di legna mentre fuori le onde si infrangono sulla costa, rappresenta un’esperienza sensoriale che connette direttamente con l’essenza di questa tradizione millenaria.
Una tradizione che si dissolve come schiuma
La realtà contemporanea delle Ama è segnata da una malinconia profonda: questa tradizione millenaria sta svanendo come la schiuma delle onde sulla riva. Alla fine degli anni ’70, il Giappone contava quasi 10.000 Ama attive. Oggi ne rimangono circa 2.000 in tutto l’arcipelago, con un calo del 22% solo negli ultimi cinque anni tra Toba e Shima.
L’età media delle praticanti si aggira attorno ai 60 anni, e sono sempre meno le giovani donne disposte ad abbracciare una professione così fisica e impegnativa. I cambiamenti climatici stanno alterando l’ecosistema marino: l’aumento delle temperature oceaniche ha causato una diminuzione delle risorse animali e vegetali sott’acqua, rendendo il lavoro delle Ama sempre più difficile e meno redditizio.
La modernizzazione del Giappone ha offerto alle giovani generazioni opportunità professionali impensabili per le loro nonne, ma ha anche reciso molti legami con le tradizioni ancestrali. La vita urbana attrae con le sue promesse di comfort e stabilità economica, mentre la vita delle Ama richiede una dedizione totale, una connessione profonda con i ritmi naturali che mal si concilia con i tempi frenetici della società contemporanea.
Il respiro che unisce le generazioni
Nonostante le sfide, le Ama di Shima continuano a immergersi, portando con sé il peso di una responsabilità che va oltre la semplice sopravvivenza economica. Sono le custodi di una conoscenza ecologica straordinaria, testimoni viventi di un rapporto sostenibile con l’ambiente marino che l’umanità moderna sta faticosamente cercando di riscoprire.
Ogni isobue che risuona nelle baie della prefettura di Mie è un richiamo ancestrale, un ponte sonoro che collega il presente a duemila anni di storia femminile. È il respiro di donne che hanno scelto di resistere, di mantenere viva una tradizione che parla di coraggio, indipendenza economica e rispetto per la natura.
Le Ama rappresentano un modello di empowerment femminile unico al mondo, dove l’autonomia delle donne non è mai stata messa in discussione, dove la competenza tecnica e la resistenza fisica femminile sono sempre state celebrate e riconosciute. In una società tradizionalmente patriarcale come quella giapponese, queste donne del mare hanno sempre mantenuto una posizione di rispetto e indipendenza che oggi assume un valore simbolico ancora più potente.
L’eredità che sale dalle profondità
Visitare le Ama di Shima oggi significa assistere a un miracolo di resistenza culturale. Nei villaggi di pescatori lungo la costa, nelle ama-goya dove il tempo sembra essersi fermato, si può ancora respirare l’atmosfera di un Giappone diverso, più lento, più connesso ai ritmi della natura.
Attualmente rimangono solo circa 2.000 sommozzatrici in tutto il Giappone, con circa 800 localizzate nell’area di Shima e Toba della prefettura di Mie. Queste cifre non sono solo statistiche: rappresentano le ultime interpreti di un’arte che ha sfidato i millenni, donne che ogni giorno si immergono nelle profondità portando con sé l’eredità di tutte le Ama che le hanno precedute.
La loro storia non è solo giapponese: è universale. Parla della capacità umana di adattarsi, resistere e mantenere vive le tradizioni anche quando il mondo cambia velocemente intorno. Le Ama di Shima ci ricordano che esistono ancora luoghi dove il tempo ha un ritmo diverso, dove la relazione con l’ambiente è basata sul rispetto reciproco, dove la conoscenza si tramanda attraverso gesti silenziosi e respiri profondi.
Quando l’ultima Ama smetterà di immergersi, con lei scomparirà non solo una professione, ma un modo intero di intendere il rapporto tra essere umano e natura. Per questo, ogni isobue che oggi risuona nelle acque di Shima non è solo il respiro di una donna che emerge dal mare: è il respiro della storia stessa, che chiede di essere ascoltata prima che il silenzio la ricopra per sempre.
Direttore editoriale di No#News Magazine.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare ai sofferenti per amore, inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo: è chiamato il fondamentalista del Loggione. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita tuttavia rimane la Tosca.