Tra le strade acciottolate di Bologna, dove il profumo di ragù si mescola ai suoni della vita quotidiana, esiste una tradizione che risale ai tempi in cui l’aperitivo era ancora un’arte semplice. Non cercate il glamour delle bollicine di Prosecco o l’arancione vivace dell’Aperol: qui, nei locali più autentici dell’Emilia-Romagna, si beve ancora lo sguazzone, l’antenato povero ma genuino dello spritz che oggi conquista i palati di tutto il mondo.

L’eredità austriaca che conquistò il nord Italia

La storia dello spritz affonda le radici alla fine del XIX secolo, quando Venezia faceva ancora parte dell’Impero Austriaco. I soldati asburgici, abituati ai sapori più delicati della loro patria, trovavano i vini bianchi veneti troppo intensi per i loro gusti. La soluzione fu tanto semplice quanto rivoluzionaria: diluire il vino con un “spritz” – termine tedesco che significa “spruzzare” – di acqua frizzante.

Quello che nacque come un espediente per rendere più bevibili i vini locali si trasformò presto in una tradizione che attraversò le Alpi e si radicò profondamente nel tessuto culturale dell’Italia settentrionale. Ma mentre nelle grandi città l’aperitivo si arricchiva di ingredienti sempre più sofisticati, nelle campagne emiliane resisteva la versione originale: vino bianco e acqua frizzante, nient’altro.

Dalla necessità alla tradizione: la storia dello sguazzone

Nelle campagne dell’Emilia-Romagna, dove i ritmi erano scanditi dal lavoro nei campi e dalle stagioni, lo sguazzone nasceva da una necessità pratica. Durante le calde giornate estive, quando il sole batteva implacabile sui filari di vite, i contadini scoprirono che allungare il vino con acqua fresca non solo lo rendeva più dissetante, ma permetteva anche di mantenersi idratati senza rinunciare al piacere di un sorso rigenerante.

Era la bevanda delle donne, secondo un’antica tradizione che vedeva nel vino “annaffiato” un’alternativa più delicata al vino puro. Era anche il primo assaggio di alcol concesso ai più giovani, un ponte tra l’infanzia e l’età adulta che si consumava nei cortili delle case di campagna, tra risate e chiacchiere al tramonto.

Il pignoletto frizzante: l’anima bolognese dello sguazzone

A Bologna, lo sguazzone ha trovato la sua espressione più autentica nel pignoletto frizzante, il vino bianco che caratterizza le colline che circondano la città. Questo vitigno, coltivato da secoli nei terreni argillosi dell’Appennino emiliano, dona alla bevanda un carattere distintivo: fresco, leggermente fruttato, con quella vivacità che si sposa perfettamente con la filosofia del “bere semplice”.

Il rituale della preparazione è rimasto immutato nel tempo: si versa il pignoletto frizzante in un bicchiere, si aggiunge acqua gassata nelle proporzioni desiderate, si completa con qualche cubetto di ghiaccio. Il risultato è una bevanda dal basso contenuto alcolico, paragonabile a quello di una birra leggera, perfetta per accompagnare i lunghi pomeriggi estivi.

Rinascita urbana e nuove interpretazioni

Negli ultimi anni, lo sguazzone ha vissuto una sorprendente rinascita, soprattutto tra i giovani bolognesi che hanno riscoperto il fascino di questa bevanda autentica. I bartender più creativi hanno iniziato a sperimentare varianti raffinate: acqua tonica al posto di quella frizzante, scorze di limone per aggiungere freschezza, erbe aromatiche come rosmarino o menta per arricchire il profilo gustativo.

Tuttavia, il vero sguazzone bolognese mantiene la sua essenza di semplicità: è il drink della convivialità spontanea, quello che si beve seduti sui gradini di una piazza, accompagnato da crescentine fritte ancora calde, mentre il sole tramonta sui portici medievali della città.

L’arte dell’abbinamento: quando il semplice diventa sublime

La bellezza dello sguazzone risiede nella sua capacità di esaltare i sapori semplici della tradizione emiliana. Si sposa perfettamente con formaggi freschi come la ricotta o lo stracchino, con salumi delicati, con focacce appena sfornate. La sua leggerezza non sovrasta mai il cibo, ma lo accompagna con discrezione, creando quell’equilibrio che è il segreto della migliore cucina italiana.

Nei locali di Bologna, lo sguazzone è diventato protagonista di un nuovo modo di intendere l’aperitivo: meno appariscente ma più sostanzioso, meno social ma più sociale, capace di creare quella complicità che solo le tradizioni autentiche sanno regalare.

Il futuro di una tradizione antica

Mentre il mondo degli aperitivi si riempie di colori fluorescenti e sapori artificiali, lo sguazzone resiste come un baluardo di autenticità. È la dimostrazione che non sempre l’evoluzione significa miglioramento, e che talvolta la perfezione si trova nella semplicità di ingredienti genuini combinati con sapienza e rispetto per la tradizione.

In un’epoca di cambiamenti frenetici, lo sguazzone ci ricorda che il piacere più vero nasce spesso dalle cose più semplici: un bicchiere di vino locale, acqua fresca, ghiaccio e la compagnia giusta. Tutto il resto è solo contorno.