L’Europa si sta risvegliando dal sonno digitale con il fragore di una battaglia commerciale che non ammette più mezze misure. Dopo la Francia, ora anche la Germania alza la voce contro Shein e Temu, i due colossi cinesi dell’e-commerce che hanno trasformato il mercato europeo in un campo di battaglia dove i prezzi stracciati regnano sovrani e le regole sembrano essere solo un ricordo del passato.

È il 20 giugno a Lussemburgo, durante l’incontro dell’Eurogruppo, che il ministro tedesco delle Finanze Lars Klingbeil lancia il suo ultimatum. Le sue parole risuonano come un manifesto: “Dobbiamo garantire una concorrenza leale e tutelare i posti di lavoro. Chi paga salari dignitosi e rispetta le regole non deve finire per rimetterci”. Non è solo un discorso politico, è il grido di allarme di un’economia che si sente assediata.

L’armata silenziosa dei pacchi da otto euro

Dietro questa dichiarazione di guerra si nasconde una realtà impressionante: migliaia di pacchi al giorno attraversano i confini europei come soldatini di un esercito silenzioso. Il valore medio? Appena 8-10 euro per pacco. Una cifra che racconta tutto di una strategia commerciale tanto geniale quanto devastante per le economie locali.

La normativa europea vigente permette una totale detassazione per i beni fino a 150 euro, una regola che sembrava innocua fino a quando non si è trasformata nella porta principale attraverso cui milioni di prodotti cinesi inondano quotidianamente il mercato continentale. Lo scorso anno sono entrati in Europa 4,6 miliardi di articoli di valore inferiore a 150 euro, un’avalanga che ha messo in ginocchio soprattutto le piccole e medie imprese tedesche ed europee.

Il modello francese: quando la sostenibilità diventa un’arma

La Germania non è sola in questa battaglia. Il 10 giugno la Francia ha approvato una legge che impone una eco-tassa fino a 10 euro per i capi di ultra fast fashion, vieta la pubblicità per questi brand e introduce un sistema di punteggio ambientale. È un colpo maestro che trasforma la sostenibilità in un’arma di difesa economica, colpendo dove più fa male: nel portafoglio dei consumatori che fino a ieri compravano senza pensarci due volte.

Il sistema di penalità francese è chirurgico nella sua semplicità: da 5 euro a capo nel 2025, fino a 10 euro per articolo entro il 2030 per i brand che non rispettano i criteri ambientali. In alternativa, la multa sarà del 50% del prezzo di vendita. Un meccanismo che rende improvvisamente meno convenienti quelle magliette da 3 euro che hanno conquistato l’armadio di milioni di europei.

La risposta di Bruxelles: due euro per cambiare tutto

L’Unione Europea non sta a guardare. Bruxelles sta lavorando ad una tassa sugli acquisti di importo inferiore a 150 euro, soglia al di sotto della quale non si applicano i dazi doganali. Il Parlamento europeo sta valutando l’introduzione di una handling fee di 2 euro sulle spedizioni online extra-UE, una cifra apparentemente modesta che potrebbe però rivoluzionare gli equilibri del mercato.

Due euro possono sembrare poca cosa, ma quando si moltiplicano per milioni di transazioni quotidiane, diventano una montagna capace di spostare gli equilibri competitivi. È la matematica della deterrenza applicata al commercio globale.

Il grido d’allarme dei commercianti tedeschi

Non sono solo i politici a chiedere interventi drastici. L’associazione di categoria Hde (Handelsverband Deutschland) ha bombardato di solleciti il ministro Klingbeil, arrivando a inviare una lettera lo scorso maggio che suonava come un S.O.S.: “un’azione rapida e incisiva” contro Temu e Shein. I numeri che accompagnano questa richiesta sono drammatici: alcuni rivenditori tedeschi avrebbero perso fino al 60% del fatturato in determinati segmenti merceologici.

È il racconto di una trasformazione silenziosa che ha riscritto le regole del gioco mentre l’Europa dormiva, cullata dalla convinzione che la sua superiorità tecnologica e normativa fosse un baluardo inespugnabile.

Il dilemma della regolamentazione

Klingbeil è consapevole che la strada è piena di insidie: “La sfida è creare regole che funzionino per tutti, senza lasciare nessuno indietro”. Il rischio è che la regolamentazione diventi un terreno di scontro politico e commerciale, con possibili ripercussioni sulle relazioni UE-Cina e sull’accesso ai mercati.

È il dilemma classico della globalizzazione: come proteggere i propri mercati senza scatenare guerre commerciali che alla fine danneggiano tutti? Come tutelare i posti di lavoro europei senza privare i consumatori di prodotti accessibili?

L’industria europea della moda, che rappresenta un settore strategico per l’occupazione e per il PIL del continente, si trova al centro di questa tempesta perfetta, stretta tra la necessità di competere e quella di sopravvivere mantenendo standard qualitativi e salariali dignitosi.

L’epilogo di una battaglia appena iniziata

Quello che sta accadendo in Europa è più di una semplice disputa commerciale: è lo specchio di un mondo che cambia, dove le vecchie certezze crollano sotto il peso di nuove logiche economiche. La battaglia contro Shein e Temu non è solo una questione di tasse o dazi, ma il simbolo di una civiltà che prova a difendere i propri valori in un mercato globale sempre più selvaggio.

La partita è appena iniziata, ma una cosa è certa: l’Europa ha deciso di non restare più a guardare mentre la sua economia viene ridisegnata da algoritmi e centri logistici a migliaia di chilometri di distanza. La guerra dei due euro è iniziata, e stavolta non si tratta solo di soldi.