C’è stato un momento, all’inizio dell’estate 2025, in cui migliaia di ascoltatori si sono lasciati cullare da una musica nostalgica e leggera, fatta di chitarre sognanti, melodie folk-rock e voci garbate che sembravano sbucare da una vecchia bobina polverosa degli anni Sessanta. Si chiamavano Velvet Sundown, e nessuno sapeva esattamente chi fossero. Solo che c’erano. Su Spotify, su YouTube, sulle playlist rilassate dei pomeriggi pigri. E c’erano con due dischi appena usciti, Floating on Echoes e Dust and Silence, album che sembravano scivolare fuori dal tempo. Ma quella sensazione di déjà-vu perfetto era solo il primo indizio di qualcosa che non tornava.

Il sospetto è iniziato dalle immagini: fotografie perfette ma innaturalmente statiche, come se ogni membro della band fosse generato dalla stessa matrice. I volti, le pose, gli sfondi: troppo nitidi, troppo ben composti. Poi, la musica. Nessuna sbavatura, nessun graffio, nessuna dissonanza. Ogni brano era come cesellato da una mano invisibile e matematica. Qualcosa di fin troppo coerente, fin troppo… prevedibile. E infatti, lo era.

@nicconley

This viral band with 300K monthly listeners doesn’t actually exist and it’s all AI Comment “FAKE” for more AI music detection tips Most people think their favorite new band is made up of real humans but this viral group with 300000 monthly listeners doesnt actually exist Meet The Velvet Sundown a completely AI-generated band thats fooling millions on Spotify Zero evidence exists that these people have ever performed live given interviews or even exist as real humans AI-generated photos ChatGPT-style descriptions and music created entirely by Suno AI technology The band appeared in users Discover Weekly playlists suggesting Spotify is actively promoting AI music to avoid paying real artists Detection tools confirmed 12 out of 13 tracks were AI-generated with 100% confidence scores Whats scary is how realistic it sounds Generic but polished indie music that most people cant distinguish from human-created content This represents a bigger problem where streaming platforms flood their services with AI-generated content to maximize profits while real artists get pushed out Your favorite new song might not be made by humans

♬ original sound – Nic Conley – Nic Conley

La verità dietro l’inganno

Velvet Sundown non erano una band, né un collettivo, né una provocazione artistica. Erano — come rivelato a posteriori da fonti affidabili come Financial Times e Radio New Zealandun progetto interamente generato con strumenti di intelligenza artificiale. Le voci, gli strumenti, gli arrangiamenti: tutto prodotto da software come Suno, con testi probabilmente supportati da modelli linguistici come ChatGPT. Persino i volti e le biografie (mai realmente pubblicate, sempre vaghe) erano frutto di generatori visivi. Non esistevano concerti. Non esistevano interviste reali. Eppure, in poche settimane, oltre un milione di ascoltatori mensili avevano cliccato su quel nome.

Deezer è stata la prima piattaforma a lanciare l’allarme, dichiarando che la musica dei Velvet Sundown era al 100% generata dall’intelligenza artificiale. Ma la band, attraverso i propri canali social, ha reagito con veemenza a queste accuse, definendo “pigri e infondati” i sospetti dei giornalisti e rivendicando la propria natura di gruppo musicale autentico.

Il risveglio dall’inganno

Quando la verità è emersa, le reazioni non si sono fatte attendere. Alcuni hanno parlato di truffa. Altri di provocazione culturale. Altri ancora di esperimento riuscito. Ma la domanda più scomoda era un’altra: com’è possibile che così tante persone abbiano ascoltato — e in molti casi apprezzato — una band che non esisteva? La risposta non è comoda, ma è sotto gli occhi di tutti: l’algoritmo ha capito cosa vogliamo sentire, anche meglio di noi.

Velvet Sundown è stato un punto di rottura perché ha messo a nudo una tensione profonda tra l’autenticità e l’efficienza algoritmica. Quelle canzoni, sebbene ben confezionate, erano prive di imperfezioni umane, prive di respiro, prive di rischio. Erano musica pensata per non disturbare, per riempire spazi neutri tra una distrazione e l’altra. Eppure, ci hanno colpiti. O almeno, ci hanno convinti per un attimo. Non perché fossero rivoluzionarie, ma proprio perché non lo erano affatto.

La rivelazione ha scatenato reazioni contrastanti in tutto il mondo. I Fanvue World AI Creator Awards hanno bannato la band dalla loro competizione, dichiarando che la loro presenza non si allineava con i valori dell’organizzazione, che promuove un uso etico dell’intelligenza artificiale nella musica. Alcune piattaforme, come Deezer, hanno cominciato a etichettare i brani come generati da AI. Spotify, invece, ha mantenuto il silenzio, lasciando che tutto seguisse il suo corso naturale, quello che oggi chiamiamo engagement.

Una metafora del nostro tempo

Velvet Sundown è diventato un caso di studio per l’intera industria musicale. Una metafora perfetta del nostro tempo: l’emozione surrogata, la nostalgia automatizzata, l’identità fabbricata. I Velvet Sundown hanno dimostrato qualcosa di straordinario e inquietante allo stesso tempo: l’intelligenza artificiale può creare musica indistinguibile da quella prodotta da esseri umani, almeno per il grande pubblico.

Questo esperimento solleva domande fondamentali sul futuro dell’industria musicale. Se un algoritmo può creare brani che conquistano il pubblico, quale sarà il ruolo degli artisti umani? Come cambierà il nostro rapporto con la musica quando non sapremo più distinguere tra creazione umana e artificiale?

Ciò che resta, ora che il sipario si è alzato, non è solo una riflessione sulla tecnologia. È una domanda rivolta a ciascuno di noi: siamo davvero in grado di distinguere tra ciò che nasce da un’urgenza creativa e ciò che viene costruito per assomigliarle?

L’eredità di un’illusione

Velvet Sundown ha superato milioni di streaming. Nonostante tutto, o forse proprio per questo. Ha dimostrato che il confine tra il vero e il verosimile è sottile come una traccia audio compressa. E forse, senza volerlo, ci ha costretto a riconsiderare che cosa cerchiamo davvero quando diciamo di voler ascoltare “buona musica”.

Oggi, mentre i Velvet Sundown continuano ad accumolare ascolti su Spotify – ora con la loro vera identità rivelata – rappresentano un momento di svolta nella storia della musica digitale. Sono la prima band completamente artificiale a raggiungere il successo mainstream, aprendo la strada a una nuova era in cui la distinzione tra umano e artificiale potrebbe diventare sempre più sfumata.

La loro esistenza fantasmatica ci ricorda che nell’era digitale, l’autenticità stessa è diventata un concetto fluido. Forse non importa chi o cosa crei la musica, se questa riesce a toccare le corde giuste dell’animo umano. O forse, al contrario, questa vicenda ci insegna quanto sia prezioso il tocco umano nell’arte, rendendo ancora più speciale ogni nota suonata da mani vere su strumenti reali.

I Velvet Sundown rimarranno nella storia come pionieri involontari di una rivoluzione che è appena iniziata, testimoni di un futuro in cui la creatività artificiale e quella umana dovranno imparare a convivere, competere e forse, un giorno, collaborare in modi che oggi possiamo solo immaginare.