Il mondo della musica rock e metal piange oggi la scomparsa di Ozzy Osbourne, morto a 76 anni dopo una lunga battaglia contro il morbo di Parkinson. Il Principe delle Tenebre ha chiuso gli occhi per sempre nella sua casa, circondato dall’affetto della famiglia che per decenni ha condiviso le sue battaglie, le sue cadute e le sue rinascite. La notizia è stata comunicata dalla famiglia con un toccante messaggio: “È con più tristezza di quanto le parole possano esprimere che dobbiamo comunicare che il nostro amato Ozzy Osbourne è morto questa mattina”.

La voce che ha definito i contorni dell’heavy metal moderno si è spenta appena diciassette giorni dopo il suo ultimo, commovente addio al palco. Il 5 luglio 2025, al Villa Park di Birmingham, aveva salutato i fan con “Back to the Beginning”, il concerto d’addio dei Black Sabbath riuniti per l’ultima volta nella loro formazione storica. Sul suo trono nero decorato con pipistrelli e teschi, malato ma ancora fiero, aveva gridato un’ultima volta “Che la follia abbia inizio!” davanti a un pubblico in delirio che già sapeva di assistere alla fine di un’epoca.

Gli albori della rivoluzione: quando Birmingham generò l’oscurità

La storia di John Michael Osbourne inizia nel 1948 nei quartieri operai di Aston, Birmingham, dove la povertà e la disperazione forgiavano caratteri duri come l’acciaio delle fabbriche circostanti. In una famiglia di sei figli, Ozzy cresce tra le difficoltà economiche e i primi segnali di quella irrequietezza che lo accompagnerà per tutta la vita. La sua infanzia è segnata da problemi di apprendimento, espulsioni scolastiche e piccoli furti che lo portano persino in riformatorio.

Ma è proprio in quell’ambiente di degrado industriale che nasce la magia. Nel 1968, quattro ragazzi di Birmingham – Tony Iommi alla chitarra, Geezer Butler al basso, Bill Ward alla batteria e Ozzy alla voce – si incontrano per dare vita a quello che inizialmente si chiama Earth. Il nome cambierà presto in Black Sabbath, ispirato dal film horror omonimo del 1963. Quello che non sapevano è che stavano per rivoluzionare per sempre il panorama musicale mondiale.

Il suono che emerge dalle prove in quel garage di Birmingham è qualcosa di completamente nuovo: più pesante, più scuro, più minaccioso di tutto ciò che era venuto prima. Le riff distorte di Iommi, rese ancora più sinistre dall’incidente che gli aveva fatto perdere le punte di due dita, si sposano perfettamente con la voce graffiante e drammatica di Ozzy, capace di passare da sussurri inquietanti a urli primordiali.

L’esplosione del fenomeno Sabbath: quando l’heavy metal conquistò il mondo

Il 13 febbraio 1970 esce “Black Sabbath”, il primo album che porta il nome della band. È una rivoluzione copernicana nel mondo del rock: dove i figli dei fiori predicavano amore e pace, i Black Sabbath evocano demoni e apocalisse. La title track, con il suo tritono diabolico e i testi che parlano di figure sataniche, scandalizza e affascina in egual misura. Ozzy non è più solo un cantante, ma diventa un sacerdote dell’oscurità, un medium tra il mondo terreno e quello degli incubi.

L’album successivo, “Paranoid”, pubblicato lo stesso anno, contiene alcuni dei brani più iconici della storia del metal. “Iron Man”, “War Pigs” e la title track diventano inni generazionali, mentre Ozzy affina quella teatralità macabra che lo renderà immortale. Durante i concerti, la sua presenza scenica è magnetica: si muove come un serpente ipnotico, alterna momenti di apparente fragilità a esplosioni di energia pura, crea un’atmosfera di tensione erotica e pericolo che nessuno aveva mai visto prima.

Gli aneddoti di quegli anni dipingono un Ozzy già leggendario per i suoi eccessi. La storia del pipistrello morso durante un concerto del 1982 a Des Moines diventa il simbolo della sua follia controllata, ma dietro quel gesto apparentemente insano c’è la genialità di chi ha capito che il rock deve essere anche spettacolo, provocazione, trasgressione. “Pensavo fosse di gomma”, dirà poi ridendo, ma il danno – o meglio, il mito – era ormai fatto.

L’era solista: quando Ozzy divenne un’icona globale

Dopo l’addio ai Black Sabbath nel 1979, molti credevano che la carriera di Ozzy fosse finita. Invece, quella separazione segna l’inizio della sua trasformazione in icona globale. Il primo album solista, “Blizzard of Ozz” del 1980, è un capolavoro assoluto che ridefinisce il concetto stesso di heavy metal. Canzoni come “Crazy Train” e “Mr. Crowley” mostrano un Ozzy maturo, capace di coniugare la potenza del metal con melodie indimenticabili.

La collaborazione con il giovane Randy Rhoads alla chitarra porta la musica di Ozzy verso vette di virtuosismo tecnico mai raggiunte prima. Rhoads, un talento cristallino formato alla scuola classica, riesce a tradurre in riff e assoli la follia visionaria di Ozzy, creando un linguaggio musicale completamente nuovo. La loro partnership artistica è leggendaria, resa ancora più preziosa dalla tragica fine del chitarrista in un incidente aereo nel 1982.

I concerti di quegli anni sono spettacoli totali che vanno oltre la semplice esibizione musicale. Ozzy porta sul palco scenografie elaborate, effetti pirotecnici, costumi teatrali, ma soprattutto quella carica emotiva devastante che lo rende unico. Non è solo un cantante che interpreta delle canzoni, è un sciamano del rock che conduce il pubblico in viaggi attraverso paure, desideri, ossessioni. Ogni sua performance è un rito collettivo di liberazione.

Gli anni della rinascita: dalla televisione al ritorno sulle scene

Gli anni Novanta e Duemila segnano per Ozzy una metamorfosi inaspettata. Il reality show “The Osbournes”, andato in onda dal 2002 al 2005, mostra al mondo un lato completamente diverso del Principe delle Tenebre. In casa, circondato dalla moglie Sharon e dai figli Jack e Kelly, Ozzy appare come un padre di famiglia amorevole e vulnerabile, spesso confuso ma sempre teneramente umano. Quella serie televisiva lo trasforma in un fenomeno pop planetario, introducendo la sua musica a generazioni che non lo conoscevano.

Ma è proprio in questo periodo che emerge con maggiore chiarezza la fragilità dell’uomo dietro il mito. Le battaglie contro alcol e droghe, che lo hanno accompagnato per tutta la carriera, diventano più evidenti. Gli incidenti, le ricadute, i ricoveri si alternano ai momenti di creatività pura. Sharon diventa non solo sua moglie ma anche la sua ancora di salvezza, la persona che più di tutte lo aiuta a trovare un equilibrio tra l’Ozzy pubblico e l’uomo privato.

Il Ozzfest, festival itinerante ideato da Sharon e dedicato interamente al metal, diventa una delle manifestazioni musicali più importanti del mondo. Per anni, migliaia di fan si radunano per celebrare non solo Ozzy ma tutto l’universo musicale che lui ha contribuito a creare. È il riconoscimento definitivo del suo status di padrino del metal, l’uomo che ha aperto la strada a generazioni di musicisti.

Le ultime battaglie: il Parkinson e la forza di non arrendersi

Nel 2020, la rivelazione che aveva cambiato tutto: Ozzy aveva annunciato di essere affetto dal morbo di Parkinson. La malattia neurodegenerativa, che aveva tenuto nascosta per anni, spiegava molte delle difficoltà fisiche che aveva mostrato negli ultimi concerti. Ma invece di ritirarsi dalle scene, Ozzy aveva scelto di combattere a testa alta, continuando a registrare musica e a esibirsi quando le condizioni di salute glielo permettevano.

L’album “Patient Number 9” del 2022 era stato il suo canto del cigno discografico, un disco in cui aveva riversato tutta la sua esperienza, la sua saggezza, la sua accettazione della mortalità. Collaborazioni con artisti di generazioni diverse – da Post Malone a Elton John – dimostravano che la sua influenza musicale continuava a espandersi, raggiungendo pubblici sempre nuovi.

Gli ultimi concerti erano stati prove di resistenza eroica. Spesso seduto, sempre più fragile fisicamente ma ancora incandescente vocalmente, Ozzy aveva continuato a dare tutto se stesso al suo pubblico. Chi lo aveva visto negli ultimi tour raccontava di un’emozione palpabile, la consapevolezza di assistere agli ultimi bagliori di una stella che aveva illuminato il rock per oltre cinquant’anni.

L’ultimo urlo: Back to the Beginning e il cerchio che si chiude

Il 5 luglio 2025, al Villa Park di Birmingham, si era consumato l’ultimo atto della carriera di Ozzy Osbourne. “Back to the Beginning” non era stato solo un concerto, ma un vero e proprio pellegrinaggio. Per l’ultima volta, la formazione storica dei Black Sabbath – Ozzy Osbourne, Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward – si era riunita nella città che li aveva visti nascere come artisti.

L’evento aveva radunato tre generazioni di metallari: Metallica, Slayer, Pantera, Tool, Gojira, Alice in Chains, Halestorm, Anthrax, Lamb of God, Mastodon – tutti artisti che dovevano qualcosa a quella voce che ora salutava per sempre il palco. Ozzy si era esibito seduto su un trono nero, senza mai alzarsi, ma la sua voce aveva mantenuto intatta quella potenza emotiva che lo aveva reso immortale.

Chi c’era racconta di un’atmosfera elettrica e malinconica insieme. Quando i Black Sabbath avevano attaccato “Iron Man”, tutto lo stadio aveva cantato insieme, come in una preghiera collettiva. Le lacrime di Ozzy durante “The End”, l’ultima canzone della serata, erano le lacrime di un uomo che sapeva di aver dato tutto quello che aveva da dare. “Dopo questo concerto”, aveva detto, “posso morire felice”.

L’eredità immortale del Principe delle Tenebre

Ozzy Osbourne non è stato solo un cantante, è stato un rivoluzionario culturale. Ha preso la musica rock e l’ha spinta oltre ogni limite immaginabile, creando un genere che da Birmingham si è diffuso in tutto il mondo, influenzando milioni di musicisti e fan. La sua voce – quel mix unico di fragilità e potenza, di vulnerabilità e aggressività – è diventata il template vocale del metal.

Ma oltre alla musica, Ozzy ha rappresentato qualcosa di più profondo: la possibilità di essere diversi, di non conformarsi, di trasformare le proprie debolezze in punti di forza. I suoi eccessi, le sue cadute, le sue rinascite hanno mostrato che anche gli dei del rock sono umani, che anche loro lottano contro demoni interiori, che anche loro possono perdere e poi rialzarsi.

La sua influenza va oltre il metal: artisti di ogni genere, da Madonna a Lady Gaga, hanno riconosciuto in lui un maestro della teatralità rock. Ha dimostrato che un concerto può essere molto più di una semplice esibizione musicale, può essere un rito collettivo, una esperienza spirituale, un momento di catarsi condivisa.

I numeri parlano da soli: oltre 100 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, induzione nella Rock and Roll Hall of Fame sia come membro dei Black Sabbath che come artista solista, Grammy Awards, riconoscimenti di ogni tipo. Ma i numeri non restituiscono la portata emotiva del suo impatto. Ozzy ha dato voce a generazioni di outsider, di emarginati, di chi si sentiva diverso dal mondo.

Oggi, mentre il Principe delle Tenebre chiude per sempre gli occhi, il suo spirito continua a vivere in ogni riff di chitarra distorta, in ogni urlo liberatorio, in ogni giovane che prende in mano uno strumento musicale e decide di non seguire le regole. Birmingham piange il suo figlio più famoso, ma il mondo intero ha perso un pezzo della propria anima rock.

Addio, Ozzy. Grazie per averci insegnato che la follia può essere una forma di saggezza, che l’oscurità può contenere la luce, che il rock’n’roll è davvero per sempre.