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#Per la tua libertà in cambio ti chiediamo la vita!

Eppure questa donna cercava semplicemente una vita che fosse la sua. Cercava, come scrive il gip Accurso nell’ordinanza di custodia cautelare, «quella libertà che da anni le veniva rubata a forza, mediante l’inflizione di penose umiliazioni, che erano compiute ad opera di chi avrebbe dovuto invece amarla di più, perché fatta del suo stesso sangue, e che pur tuttavia la rendeva prigioniera, costringendola a subire in silenzio le ferite fisiche e morali di chi pratica tra le mura domestiche le regole ferree dell’apparenza, che sono soprattutto quelle proprie di una famiglia contigua alla ‘ndrangheta, dove il concetto di Onore viene elevato a principio cardine dell’esistenza.» Un principio in ossequio al quale «nessuno viene scrutato negli occhi e nel cuore, e per la cui osservanza si impone spesso, a chi non lo condivide, di morire lentamente in un inferno di regole non volute, da cui a volte è impossibile fuggire via solo a costo della propria vita».

È questo che è accaduto a Maria Concetta Cacciola. La speranza è che davvero le sue figlie possano avere un destino migliore del suo.

Quello di uccidersi con l’acido volontariamente o indotti da pressioni psicologiche o con la forza, è un gesto di chiara valenza simbolica. L’acido brucia la colpa, e chiude per sempre la bocca a chi ha osato rivelare segreti e tradire. È così che si soffocano le ribellioni dove regna la ‘ndrangheta. Ma a questo destino si sottraggono sempre più donne, che con il loro coraggio potrebbero cominciare a minare la solidità del sistema e delle leggi che lo tengono in piedi. Leggi scritte dagli uomini a vantaggio degli uomini.

Questa stridente coesistenza di orizzonti è un tratto costitutivo della cultura di ‘ndrangheta, che accosta competenze all’avanguardia nella gestone delle attività criminali a una cultura patriarcale antiquata e retriva. Maschilismo e senso dell’onore delimitano un universo rigido e fortemente codificato, in cui ruoli e comportamenti sono fissati, e in cui ogni scarto è sanzionato con severità.

Una donna che infrange le leggi del clan tradendo il marito commette un reato non emendabile, e la sua pena è la morte. Punendola, il clan riconquista l’onore perduto, rafforza la propria solidità e ribadisce la vitalità del suo sistema di principi e valori.

 

Chi sono le “Fimmine Ribelli”?

Lirio Abbate ci racconta le vicende di alcune donne. Sono donne calabresi che hanno trovato la forza di ribellarsi ad un sistema arcaico fatto di leggi non scritte e di onore da salvaguardare anche a costo della vita.

Donne che poco più che bambine, spesso, vengono destinate al matrimonio con qualcuno che nemmeno conoscono e di cui non sono nemmeno innamorate per il quale il matrimonio diviene lo scopo di rinsaldare, o ampliare rapporti tra due ‘ndrine o riappacificare vecchi dissapori tra clan rivali.

Alcune di queste donne, dopo anni e anni di soprusi, violenze fisiche e psicologiche, mosse dalla disperazione, dalla voglia di libertà, dal desiderio di una vita normale, di un amore vero, trovano la forza di ribellarsi ad un sistema che le vede sempre più soggette ad una cultura patriarcale dove la donna è merce e non affetto. Spesso è il desiderio di volere una vita diversa per i propri figli che le spinge a ribellarsi chiedendo aiuto e protezione al nemico più temuto di sempre: lo Stato e le forze dell’ordine.

Non è né facile né semplice per queste donne, nate e cresciute in una famiglia dove la donna non ha diritto di parola né desideri da realizzare che conducono una vita da segregate, donne che escono solo con le loro madri, che spesso non finiscono le scuole, trovare la forza per denunciare la propria famiglia.

È solo quando la disperazione prende il posto della rassegnazione che alcune di loro intraprendono il percorso più pericoloso per i clan. Non un percorso semplice, anche perché spesso sono costrette a ritornare alla propria casa natia per poter rivedere i figli. Dove la pressione psicologica attuata dalle loro stesse madri le fa vacillare.

Alcune di loro ce l’hanno fatta, altre ci stanno provando altre, purtroppo, si sono arrese scegliendo la via del suicidio/omicidio.

Sono tante le storie di queste giovani donne calabresi, alcune raccontate in questo bellissimo libro da Lirio Abbate.

Fimmine ribelli di Lirio Abbate, #Per la tua libertà in cambio ti chiediamo la vita!

Fimmine ribelli 
di Lirio Abbate
Bur saggi 2015 (pp. 208)

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