Site icon No News Magazine

#E se fosse merito suo?

#E se fosse merito suo?

Mia nonna è riuscita a bloccarmi l’appetito. Non ce l’aveva mai fatta nessuno, prima …

Io ho i miei dubbi. Ne ho tanti, di dubbi. Sulla vita, proprio. E ho anche tanta rabbia: sale, lei, … Però allora ditelo che mi state prendendo in giro. Ditelo, che ce l’avete tutti con me. Ammettete che questo è un complotto alle mie spalle per farmi perdere tempo ed energie.

Io, nella mia vita, ho fatto solo dei gran castelli di carte. Anche i miei progetti più grandiosi, in fondo, non erano altro: costruzioni straordinarie nella mia mente, ma talmente fragili da crollare alla prima folata di vento …

Mia nonna invece ha scolpito la sua vita nella roccia, finché il macigno più grande le è caduto addosso. Io, di mio, preferirei far finta di niente e girarmi dall’altra parte, perché il macigno è pesante e a me la pesantezza ha sempre fatto paura. Però stavolta non ci riesco …

Sono stanco di essere stanco, stanco di fluttuare, stanco di cercarmi una forma, una definizione che mi sfugge.

Quando da Milano torno a Castelfreddo ho l’impressione di diventare di nuovo adolescente, ovvero di riprendere il me stesso che ero quando me ne sono andato. A casa mi porto dentro un bambino, un ventenne e un trentenne che cercano, a fatica, di convivere. E questo succede perché i luoghi non sono innocenti. Hanno dentro una carica di magia che ti si attacca addosso. Incantesimo o maledizione che sia, il risultato non cambia.

I luoghi hanno un’anima, hanno una memoria.

Uno crede che per spostarsi basti percorrere dei chilometri, invece non è quella l’unità di misura giusta. La distanza si misura in sentimenti.

«Scusi, dov’è casa mia?»

«È facile, guardi: lei va avanti fino alla quarta ambizione. Quando supera il secondo fallimento gira a destra. Passa la piazza dell’amarezza, si lascia sulla sinistra il parco dei ricordi, e poi dopo il terzo desiderio è arrivato».

Nessuno, muovendosi da un luogo all’altro, può pensare di rimanere integro.

E quando una cosa non ce l’hai per così tanto tempo, ti convinci che puoi stare bene anche senza. Che non c’è bisogno di andare a scombussolare tutto. Che si deve pensare a quello che c’è, non a quello che manca.

 

Nel secondo romanzo Manuela Mellini conferma la sua bravura di scrittrice.

Questa volta il protagonista del suo romanzo è un giovane ragazzo, ma non è solo il protagonista a dar voce al romanzo anche l’amore per la famiglia che emerge solo dopo che ci si ritrova in “emergenza” perché è facile dare le cose per scontate quando le si hanno ma poi ci vuole un colpo basso o una scossa per ricordarci che tanto scontato non è; e certe scelte non sono proprio volute ma sono solo conseguenza di un ricordo che fa male.

E il luogo dove si è nati è un posto dove ritornare a ritrovare se stessi, a ricordarci chi siamo e cosa sognavamo di diventare oppure di avere la certezza di cosa non vorremmo diventare, di cosa vogliamo perdere e cosa vogliamo avere.

Perché non è tutto scontato e non tutto è perduto.

E una banale casualità può diventare il trampolino di lancio per il nostro futuro, quel futuro tanto agognato che ci ha fatto fare scelte poco sensate, oppure dolorose e non certo facili da affrontare .

Ma quanta soddisfazione!

Filippo il protagonista, l’uomo narcisista per natura, a tratti di un egoismo quasi patologico si scoprirà essere un uomo migliore di quello che ci pare e imparerà che basta poco, veramente poco, a dare la felicità a qualcun altro.

Immaginatevelo, vestito da prete, raccontare una bugia a fin di bene, una bugia che darà la felicità non a una ma a tante persone.

Piacevole la narrazione, incantevole la trama, stupendo il finale.

Un libro che si legge tutto d’un fiato.

Exit mobile version