Il prossimo 9 luglio uscirà il film Naufragi, scritto e diretto da Stefano Chiantini e interpretato da un’informissima Micaela Ramazzotti. Sarà disponibile sulle principali piattaforme streaming: Apple TV/ iTunes, Google Play, Amazon Prime Video, Rakuten e Chili e il 16 luglio su Sky.

Il film aveva interrotto la lavorazione lo scorso anno a causa delle restrizioni sanitarie e può vantarsi di essere stato il simbolo della ripartenza in quanto primo lungometraggio in Italia ad aver ricominciato le riprese non appena è stato possibile farlo. Un film che è simbolo di ottimismo è anche il riflesso di una grande disfatta, per l’appunto di un grande naufragio che si riflette sullo schermo come sulle onde del mare e che fa perdere anche a noi spettatori la fiducia nei confronti di una società che si squaglia e adombra il malessere dei bisognosi, una società che ha imparato ad ignorare e che ha fatto della solitudine e dell’isolamento il suo collante principale.

Maria, Antonio e i due figli sono un nucleo familiare in difficoltà, fanno fatica ad arrivare a fine mese e con il solo stipendio di lui. Sembrano comunque adattarsi condurre una quotidianità ordinaria, si amano e sono una famiglia unita. Un giorno però suonerà il citofono ed un tragico evento cambierà completamente le carte in tavola. Maria farà di tutto per riuscire a tenere insieme la famiglia…

Anche se Chiantini (autore) ha espressamente dichiarato di non aver avuto alcun intento di denuncia-giudizio morale o sociale e che la sua sola intenzione era quella si evidenziare il sentimento di solitudine e dispersione con l’espediente del non-luogo, questo lungometraggio è un piccolo trattato antropologico. Chi naufraga? Questo non-luogo dell’anima è un’isola o è la ricerca di essa? Riuscirà Maria a trovare terra? I personaggi sono naufraghi dispersi in questo non-luogo dell’anima che esplode in un tripudio di silenzi che raccontano il dolore dei drammi familiari e di situazioni al limite in un’esistenza grama. Maria siamo tutti noi, ma nessuno può veramente capire quello che sta passando. Maria è come il vento di primavera, leggera, frizzante e ricca di profumi. Una donna semplice, un essere umano candido e innocente che ci fa tornare il desiderio di amare. Maria non usa lo smartphone è un libro aperto e ama alla follia i suoi figli, ciononostante è una sbandata, una con la “testa fra le nuvole”, poco responsabile e che avrebbe bisogno di un aiuto concreto da parte delle istituzioni. Le istituzioni però, come in molti altri ambiti, non comunicano e lasciano adito a fraintendimenti che causano incidenti di percorso che alle volte, come in questo caso, possono rivelarsi fatali. Dietro gli sguardi di Maria si può ammirare l’animo di una creatura ancestrale, pura e indifesa che si ritrova imprigionata nel corpo di una donna adulta, bella e disperata perché incapace di reggere le responsabilità, incapace di confrontarsi con questo mondo troppo “artificiale”. Una contaminazione del malessere umano che sporca e intorbidisce questo limpido rivolo di montagna fino a farlo diventare una poltiglia. Questo film si esprime con il linguaggio della sofferenza, è gretto, aguzzo, mutilato e irregolare che arriva alla pancia della gente come un pugno dritto nella bocca dello stomaco. Ci sentiamo responsabili per il dolore di Maria e siamo costretti a farci un esame di coscienza. Quante Marie ci sono là fuori in questo momento? Quante Marie mi passano davanti ogni giorno? E magari le trattiamo pure con diffidenza, distacco e disprezzo. La pressione e la cupezza zampillano in una vasca di depressione gestita e raccontata magistralmente dagli autori con inquadrature scure, opprimenti, strette, schiacciate e che lasciano poco respiro. Fabbricati e centrali elettriche che insozzano il paesaggio litoraneo e l’orizzonte del mare. Orizzonte che nel sentire comune è sinonimo di infinita apertura, in naufragi rimane soffocato da un’enorme nave container, non ci è permesso sognare, nemmeno fuggire perché siamo sempre costretti a guardare Maria, l’occhio non ha vie di fuga. La società è la causa della sofferenza, l’artificialità, di Maria e noi siamo la società, dobbiamo essere più presenti, più naturali, più liberi di amare il prossimo.

Recensione Naufragi di Stefano Chiantini, #Naufragi: l’odissea di Maria. Ritrovarsi dispersi nel non-luogo dell’anima

Il lungometraggio di Chiantini è un’attenta e brillante critica sociale che riesce a donare coraggio e speranza, il messaggio è chiaro: “nonostante le avversità bisogna sempre riuscire a guardare oltre il nostro prato, dobbiamo essere solidali e aiutarci l’un l’altro a superare il dolore di una perdita”. L’alterità è la sola ed unica via d’uscita, la soluzione definitiva.

I temi più urgenti sono l’immigrazione, i servizi sociali, le morti sul lavoro e il disagio della povertà, il distacco, l’isolamento sociale, la perdita di punti di riferimento, la solitudine e l’iniquità di un sistema corrotto dal formalismo. – Cassiere: “Signora, non posso accettare questa carta” – Maria: “E’ di mio marito” – Cassiere: “Appunto non è sua personale, non posso!”.

Prodotto da Andrea Petrozzi, una produzione World Video Production e Rai Cinema, in coproduzione con la francese Offshore. Alla direzione della fotografia Claudio Cofrancesco, scenografie di Ludovica Ferrario, costumi di Marta Passarini, musiche di Piernicola Di Muro e montaggio firmato da Luca Benedetti.

Un particolare apprezzamento va alla recitazione di Micaela Ramazzotti che nella conferenza stampa del 30 giugno 2021 ha dichiarato: “Il mio personaggio ha il ‘male di vivere’ si sente un’inetta, un’incapace, è lei stessa una bambina come i suoi figli, ha paura di affrontare le piccole cose della vita, figuriamoci i grandi traumi. Quando incontro personaggi come questi, vulnerabili, e anche fantasiosi e stravaganti, è un gran regalo.”. Il film è stato scritto pensando proprio a lei e il personaggio è stato impersonato e ben accolto dalla Ramazzotti, è solo nella vita così come lo è nella pellicola. Maria è l’unica protagonista anche se occorre segnalare un rapporto di amicizia femminile che riuscirà ad aiutare la sfortunata madre nell’affrontare i suoi traumi e così maturare. Si tratta del personaggio di Marguerite Abouet (Rokia) che nella conferenza stampa non smentisce dichiarando altresì: “Sono diffidenti e man mano che si costruisce il rapporto tra loro riescono a superare la sofferenza”. Nel cast anche Mario Sgueglia (Antonio), Lorenzo McGovern Zaini (Giuseppe), Mia McGovern Zaini (Anna).