Sembra quasi una delle “leggi della natura”: il più forte prevale sul più debole. Ma per l’uomo non basta poiché, per attestare la vittoria, sembra necessaria una certa umiliazione dello sconfitto che più plateale è, meglio è. Nel corso della vita è sicuramente capitato di sentirsi presi in giro, disprezzati, esclusi, insultati oppure ci si è trovati a scherzare un po’ troppo su un difetto fisico o caratteriale di qualcuno, a non invitare il compagno non abbastanza cool alla festa o a mettere in giro pettegolezzi non esattamente veri o fondati sulla persona considerata “diversa”, quasi “inferiore”.

Insomma, tutti, chi più chi meno, hanno avuto a che fare con il bullismo e le sue forme. Sembra quasi strano a dirsi ma in Italia la parola bullo non nasce con un’accezione negativa, anzi: “il bullo de Roma” o “de Trastevere”, nella seconda metà dell’Ottocento veniva identificato con colui che era a capo di un Rione e per puro narcisismo cercava di mostrare la propria forza e il proprio esibizionismo senza la minima volontà di macchiarsi di alcuna azione disonorevole. La connotazione negativa del termine inizia a diffondersi all’inizio del XX secolo nei Paesi scandinavi. In particolare, lo studio sul bullismo sembra aprirsi con il suicidio di due studenti norvegesi non più in grado di sostenere le beffe e i soprusi dei loro coetanei.

Il meccanismo che si innesca sembra essere molto semplice: si ha un istigatore, ovvero una persona che prova quasi piacere nel ferire qualcun altro (spesso un adolescente con scarsissima empatia e che tende a deresponsabilizzarsi circa le emozioni proprie e altrui) senza un ragionevole motivo e in modo prolungato nel tempo, identificato come bullo che scaraventa la propria rabbia repressa e/o qualsiasi sua mancanza affettiva sulla vittima, quasi sempre una persona fisicamente ed emotivamente debole, incapace di reagire o ignorare le cattiverie nei suoi confronti. Tuttavia, i due principali protagonisti a volte non bastano a dare l’idea del fenomeno poiché anche il gruppo svolge un ruolo determinante: più ampio e “accondiscendente” è il branco che segue il bullo, maggiore sarà la sua forza e la risonanza delle sue azioni su chi le subisce.

Quando si parla di bullismo, in genere ci si riferisce a episodi che si verificano nell’ambiente scolastico ma vi sono offese e violenze fisiche e/o psicologiche sul lavoro che prendono il nome di mobbing o all’interno delle istituzioni militari conosciute come nonnismo. In più, con l’avvento sempre più massivo di internet e dei social, si è sviluppato il cosiddetto cyberbullismo. In linea generale, dunque, ciò che si verifica in un episodio di bullismo è il tentativo di annullamento dell’autostima di un individuo cercando di farlo sentire sbagliato, inadeguato e paradossalmente “colpevole” di essere chi è.

Ma chi e cosa si nasconde dietro il bullo? Qual è la sua “faccia”? Una similitudine calzante è quella che Lorenzo Muccioli lascia trasparire nel suo libro Pesce lanterna in cui il bullo è appunto paragonato a questo pesce che vive nelle profondità degli abissi e che, a sorpresa aggredisce i pesci più piccoli, afferrandoli con i suoi denti aguzzi senza pensare al male che provoca alle sue vittime. Certo, in fondo, di cosa dovrebbe preoccuparsi un essere marino che ha soltanto fame? Cosa dovrebbe importargli del resto dell’oceano? Ecco, allo stesso modo, al bullo non importa di ciò che infligge, del danno che arreca, vive appagato nella sua oscurità emotiva e sembra essere semplicemente fatto per deridere, diffondere cattiveria e ferire fino ad uccidere il bersaglio preso di mira.

In più, il bullo non è sempre facile da riconoscere, potrebbe essere letteralmente chiunque: il ragazzino figlio di “gente per bene” i cui genitori, però, forse hanno esagerato con la disciplina e le umiliazioni che avrebbero dovuto fungere da insegnamento; “l’amica” che nonostante il tempo trascorso insieme non perde occasione per diffondere pettegolezzi o cose imbarazzanti sul nostro conto; il compagno di scuola che scherza troppo sui nostri difetti fisici; il datore di lavoro che minaccia il licenziamento in caso di gravidanza o di fronte a un “no” come risposta. Insomma, chiunque eserciti una pressione fisica o psicologica su qualcun altro. Tuttavia, non sempre il fenomeno è “lineare”: il cattivo a volte semplicemente non ha mai avuto modo di imparare altri approcci, altre volte nasconde sotto le minacce e le intimidazioni la sua frustrazione e le sue insicurezze o altre ancora si sta inconsciamente vendicando degli abusi subiti da altri passando da bullizzato a bullo.

Ovviamente non esistono attenuanti o giustificazioni per azioni del genere poiché le conseguenze per le vittime sono devastanti: a volte, pur di far cessare le violenze nei loro confronti decidono addirittura di porre fine alla loro vita. E allora, c’è qualcosa che si può fare innanzitutto per prevenire ma soprattutto per combattere episodi del genere? Esiste, insomma, un modo per essere felici e sereni “alla faccia del bullo”? Assolutamente sì.
Non è affatto semplice e non si può pensare a una soluzione unica e definitiva ma di certo non si può e non si deve stare con le mani in mano. È importante agire su più fronti: quello del bullo, quello del “pubblico” e quello della vittima. Per quanto riguarda il primo, l’aiuto di uno psicologo, presente in tutte le scuole e a sostegno delle famiglie, con cui potersi confrontare e a cui poter esternare qualsiasi disagio che porta all’aggressività, diventa determinante per un percorso di recupero e miglioramento personale. Sul secondo fronte, la sensibilizzazione di giovani, genitori, datori di lavoro e istituzioni circa l’importanza dell’essere “attivi” nella lotta contro il bullismo anche se non ci riguarda direttamente, sarebbe un grande passo verso la sconfitta di questo fenomeno. In fine, ma non per importanza, le armi a disposizione delle vittime sono tantissime e diverse ma con un comune denominatore: la forza. Sia essa quella di ignorare e farsi scivolare le cattiverie gratuite nel caso di pressioni psicologiche; quella di raggirare messaggi e telefonate intimidatori con il blocco di numeri e utenti o anche quella forse più efficace: la forza di parlarne, di esprimere i propri stati d’animo senza la paura di essere sottovalutati o colpevolizzati che, una volta trovata, ricaccia il “pesce lanterna” negli abissi, impedendogli di materializzarsi nel mondo reale.